I° Capitolo – Parte seconda: “La rappresentazione dello spazio nei film degli anni Dieci”

A congedare il XIX secolo fu l’invenzione del cinema, un evento straordinario che ha comportato una ridefinizione inevitabile dell’arte. Nel notevole fervore creativo che contraddistingue ogni svolta epocale, molti intellettuali decisero di cimentarsi con il neonato mezzo esplorando nuovi orizzonti artistici. Già di per sé magico, fantastico e sognante, il cinema fu sin da subito un terreno fertile in cui sperimentare. La fascinazione cinematografica stava appunto nella sua capacità di creare legami tra il mondo reale e quello finzionale, tra apparenza e percezione.

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La scalata cosmica nel film A Trip to Jupiter  (1909) di Segundo de Chomón.

Il pioniere di quella tendenza cinematografica fondata sulla rêverie è senza ombra di dubbio Georges Méliès, una delle figure più interessanti del cinema delle origini. Le sue opere potrebbero essere considerate come fossili preistorici della fantascienza cinematografica, pietre miliari da cui la produzione successiva degli anni Dieci ruberà espedienti tecnici, ma anche scelte stilistiche e narrative. Si commetterebbe un errore grossolano se però si parlasse di fantascienza in riferimento al cinema delle origini proprio perché, seppure ci siano tutti i presupposti narrativi che rimandano al genere classico ed alle decodificazioni e teorizzazioni successive, la rappresentazione del lontano universo si limitava ad una fantasticheria, a volte era il risultato di un sogno.

L’intenzione dei primi cineasti era quella di realizzare opere magiche, evocative che riuscissero, attraverso trucchi (arresto e sostituzione o sovrimpressione in Méliès), ad attrarre il pubblico e farlo sognare ad occhi aperti. Soltanto molti anni dopo si raggiungerà la consapevolezza di fare un certo tipo di cinema che rientra a tutti gli effetti nel genere di fantascienza. Seppure riconducibile alla tradizione delle féeries, un genere teatrale dalle trame fiabesche e caratterizzato da pompose messe in scena ed effetti visivi spettacolari, il cinema di Méliès diventa precursore di una certa maniera di fare “science fiction”. In Viaggio nella luna del 1902 si assiste, ad esempio, alla spedizione sul satellite terrestre di alcuni astronauti. L’articolazione narrativa è semplice: vi è un congresso scientifico sulla spedizione-missione, la realizzazione di un velivolo che permetterà di raggiungere lo spazio, il viaggio cosmico, l’esplorazione del nuovo mondo, l’incontro con gli alieni (i seleniti) ed il ritorno a casa. Struttura classica per un lavoro che presenta ancora strascichi teatrali sia nella ripresa frontale degli attori (tipica del primo cinema), sia nell’utilizzo di fondali posticci che accentuano l’aspetto finzionale della scena.

Il velivolo, la tuta degli astronauti, i seleniti ma anche la celebre immagine dell’atterraggio sull’occhio della luna portano con sé un aspetto ludico ed ironico che sarà il tratto fondamentale della produzione pre-fantascientifica. Nel 1904, il regista francese realizza Viaggio attraverso l’impossibile. La struttura narrativa è simile al precedente Viaggio nella luna ma al posto della Luna vi è un Sole antropomorfo che ospita i viaggiatori aprendo le sue fauci, il velivolo è sostituito da un treno volante, una sorta di navicella spaziale ante litteram, e non si ha un incontro con creature aliene ma la caduta negli abissi marini e la conseguente apparizione di un polipo gigante. I film di Méliès inaugurano un’epoca e influenzano vistosamente molte realizzazioni degli anni Dieci.

Il regista francese potrebbe essere considerato una sorta di teorizzatore involontario del genere proprio perché alcune sue scelte visive ed espedienti tecnici diventeranno veri e propri tòpoi. Eccone una lista:

  • Nei suoi lavori vengono utilizzati mezzi inadatti e rudimentali per raggiungere lo spazio (velivolo, treno);
  • Si assiste ad un’antropomorfizzazione degli astri o dei pianeti (Luna sorridente, Sole che inghiotte i viaggiatori);
  • Il viaggio spaziale si chiude, spesso, con la caduta dei protagonisti sulla Terra;
  • La sua produzione prevede una rappresentazione ludico-parodistica dell’universo e dei suoi abitanti.

Negli anni Dieci furono realizzati un numero cospicuo di “film alla Méliès” e tra questi meritano di essere citati The ? Motorist del britannico Walter R. Booth (il film originale è del 1906 ma nel 1911 il regista ne proporrà una nuova versione dal titolo The Automatic Motorist), A Trip to Jupiter di Segundo de Chomón del 1909 (l’anno precedente realizza una sua versione di Viaggio nella Luna di Méliès intitolato Excursion dans la lune) e A Trip to Mars del 1910 di Ashley Miller.

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L’automobile avanza nel cosmo in The? Motorist  (1906) di Booth.

Il lavoro di Booth, come anticipa il titolo, racconta la storia di un automobilista che, grazie ad un veicolo magico, riesce a raggiungere una Luna sorridente per poi avanzare nello spazio e percorrere gli anelli di un pianeta. Il finale prevede la caduta improvvisa sulla Terra dell’auto. Tutte le caratteristiche sopra citate ritornano nell’opera di Booth. Considerato il Méliès spagnolo, invece, Segundo de Chomón si era formato nel laboratorio del regista francese ed è piuttosto evidente nei suoi lavori in cui rielabora tutte le tecniche più utilizzate dal suo maestro.

In A Trip to Jupiter, de Chomón racconta il sogno di un re medievale. Dopo una lezione di astronomia, il sovrano sogna di raggiungere Giove grazie ad un’infinita scala che unisce la Terra all’universo. Nella scalata passano in rassegna tre astri antropomorfizzati: la Luna che, nella prima parte del film è una palla sorridente (una sorta di omaggio a Méliès), e poi viene rappresentata da una falce canonica su cui poggia il corpo di una seducente fanciulla; il primo pianeta su cui siede un uomo armato di un’enorme forbice ed infine Giove che è contrassegnato dalla figura di un guerriero che brandisce una spada e si difende con uno scudo. Giunto su Giove, il re non riceve l’ospitalità adeguata e sperata. Accolto ferocemente da alieni, simili a guerrieri barbari, la sua permanenza sul pianeta è messa in discussione ed infine viene scacciato.

Ed ecco l’ennesima caduta sulla Terra risolta con il risveglio del sovrano nel suo letto. A Trip to Mars di Miller è considerato invece il primo film americano di fantascienza e racconta dell’invenzione da parte di uno scienziato di una polvere capace di eludere la forza gravitazionale. Cospargendo il proprio corpo, il protagonista riesce a librarsi nell’aria e addirittura raggiunge Marte. Il pianeta rosso è popolato da alieni dalla statura ciclopica.

Anche nel film di Miller, ci si avvia alla conclusione con una caduta cosmica dello scienziato che ritorna quindi al suo laboratorio. Il finale però appare assolutamente originale. L’impresa stellare dello scienziato risulta fallimentare e la sua brama faustiana è ritenuta immorale nonché condannata con la sua caduta sulla terra e punita con lo sconvolgimento totale delle regole gravitazionali.

Come se la forza di gravità fosse azzerata, il mondo terrestre perde il proprio asse e si assiste ad una rotazione totale dell’immagine in una centrifuga vorticosa che inghiotte il protagonista e anche lo spettatore.

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Gli alieni in A Trip to Mars (1910) di Ashley Miller.

Alessandro Arpa

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